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EDITORIALI

Perché i vigneron di Châteauneuf-du-pape hanno fatto…

Chateauneuf-du-pape | Il Gusto Relativo

Il luogo ha storia, cultura, fortuna (non giriamoci troppo intorno… ce ne vuole sempre un po’ per essere davvero al top), un tocco di religiosità (che non guasta) e una “diversità” ampelografica che fa per tredici

Sapete quando sentite di avere qualcosa – un’idea, un pensiero, un oggetto – di così importante (o quantomeno così pensate) tanto da volerlo custodire segretamente?

Sapete quando avete raggiunto la consapevolezza che fare un contenuto, per il solo gusto di farlo (e perché no, anche se foste pagati), o semplicemente di impegnare il proprio tempo, perde ogni senso?

Ecco, per questi motivi, e per la paura di contaminare un altro luogo magnifico, incredibile e autentico che questo pianeta offre e che l’uomo ha saputo forgiare nei secoli, mi sento quasi contrariato nello scrivere.

Tuttavia, queste sono pagine che parlano di vino, letto principalmente da persone interessate al vino, e che sono oltre che istruite, penso sensibili (almeno quanto me) al tema e, almeno quanto me, interessate a preservare quel luogo magnifico che risponde al nome di Châteauneuf-du-Pape.

Pretendere, però, di raccontarvi Châteauneuf sarebbe da parte mia davvero supponente. Chi davvero conosce un luogo, tanto da supporre di poterlo raccontare con una scrittura tecnica ed una magniloquenza tautologica? Si ritiene attendibile chi quel luogo lo frequenta, spesso, per visitare, ad esempio, tante cantine produttrici, acquistando tanto vino?

Io non so rispondere a questa domanda e per questo ci sono andato! Una sola volta. Quest’estate!

Crederete a quello che vi sto per dire? Se siete come me, direi di no! Se invece non siete come me potreste, oppure no! In tutti i modi, qualsiasi sia il risultato della vostra scelta, avrete come unica soluzione quella di andarci! Anche solo una volta, come ho fatto io!

Prima di dirvi cosa penso di Châteauneuf-du-pape, però, sento il bisogno di augurare speranza e fortuna a tutti i produttori di Bordeaux (sono stato anche lì). Perché, per quanto mi riguarda, ne avranno davvero bisogno…

Ma dicevo di Châteauneuf-du-pape…

Châteauneuf-du-pape

Il luogo ha storia, cultura, fortuna (non giriamoci troppo intorno… ce ne vuole sempre un po’ per essere davvero al top), un tocco di religiosità (che non guasta) e una diversità ampelografica che fa per tredici

Si perché le varietà storiche e riconosciute dalla AOC sono ben tredici! Le usano tutte e tredici? E tutte e tredici insieme? No! O quantomeno è molto raro.
Le allevano tutte e tredici? Si!!

Ed il bello è proprio questo. Pensateci un po’…

Sappiamo molto bene quanto in agricoltura sia tutto così lungo e difficile, perché, ad esempio, le cultivar devono seguire il proprio ciclo di vita (vegetativo e riproduttivo), o perché il risultato dipende fortemente dal clima, e così via. Insomma il risultato è legato, inevitabilmente, ad alcune variabili non controllabili (o non del tutto controllabili) dall’uomo.
Variabili, che tuttavia, non impattano allo stesso modo su tutte le cultivar, come – appunto – non impattano in egual maniera su tutte le varietà di uva da vino (vitis vinifera).

E qui viene il bello… e se parliamo la stessa lingua, avrete già capito l’evoluzione di questo articolo.

Sì, perché avere un ventaglio ampelografico così ampio permette ai produttori di Chateauneuf-du-pape di controllare la qualità del loro nettare direttamente in vigna.

Avere la possibilità di eseguire un vero e proprio fine tuning, con l’uso di varietà differenti (perché differente è anche il loro comportamento – e stato – rispetto all’annata), permette di ottimizzare il prodotto che arriva in cantina, prima ancora che arrivi in cantina!

E credetemi, ma so che lo sapete, far arrivare in cantina una materia prima eccellente significa tanto. Non solo dal punto di vista organolettico ma anche, e forse oggi più che mai, dal punto di vista della qualità intrinseca del vino!

Cosa intendo per qualità intrinseca?

Lungi da me nel farvi lo spiegone, il quale potrebbe oltre che essere palloso anche non completamente aderente alle opinioni di molti lettori (non che voglia mettere d’accordo tutti…), mi piacerebbe, tuttavia, rispondere ad una domanda tanto banale quanto, spesso e molto frequentemente – soprattutto negli ambienti della sommellerie ma molto poco in contesti maggiormente tecnici – idealizzata nella risposta; ovvero: dove si fa il vino?

Credo di non scandalizzare nessuno se vi dico che a questa domanda più di qualcuno risponde: in vigna! Come credo di non scandalizzare – allo stesso modo – nessuno se vi dico che il vino si fa in cantina!

E allora, senza entrare in un dibattito potenzialmente infinito, cosa c’entra tutto ciò con Châteauneuf? Ebbene, questo significa avere una base solida per trasformare il proprio vino in cantina, una base così solida, consistente, eterogenea e “regolabile”, tanto da riuscire a ridurre la quantità di prodotti enologici usati per la trasformazione, senza inficiare sulla qualità chimica e soprattutto organolettica del vino.

Certo, qualcuno di voi storcerà sicuramente il naso a seguito della precedente affermazione, dicendo che:

Sarebbe impossibile fare vino convenzionale senza l’uso di più o meno prodotti enologici.

Ed in parte è vero! Tuttavia, chi come me, nell’arco di trenatasei anni ha bevuto sia dal proprio gottino il vino del contadino che dal proprio calice, appunto, magnificenze come lo Châteauneuf-du-pape, sa bene che trasformare la vitis vinifera, può seguire ogni tipo di “filosofia di ammostamento”, da quella più scientifica a quella più strampalata.

Inoltre, non credo di dire una stupidaggine, affermando che

Il trend di produzione dei vini naturali è in forte crescita.

Lo Châteauneuf-du-pape quindi si colloca in quella terra di mezzo (che è costituita dalla maggioranza dei trasformati di tutto il mondo) in cui può succedere un po’ di tutto. Si possono trovare produttori più o meno aderenti ai principi dei vini naturali e produttori più o meno convenzionali, ma…

Ma la possibilità di avere a disposizione un pacchetto ampelografico così ampio, aggiunge ai vini di Châteauneuf quella variabile di naturale regolabilità che pochi altre denominazioni al mondo possono permettersi.

Questa è – a mio avviso – la qualità intrinseca dello Châteauneuf-du-pape!

È sempre valida? Ovviamente no! Ma l’attenzione alla biodiversità che i produttori più rispettosi, come Domaine Mayard effettuano in vigna, è forse il pilastro più importante della qualità di questo fantastico vino. Proprio Jean, responsabile di cantina di Domaine Mayard, mi ha trasmesso il principio che qui seguono come un dogma: la biodiversità non si preserva, ma si crea. A Châteauneuf vi imbatterete in vigneti imperfetti, dove tra gli alberelli (qui l’allevamento è al 95% ad alberello) spuntano cespugli e alberi da frutto. Ma pensateci… vi viene in mente qualcosa di naturalmente più perfetto?

Domaine Mayard

Di questo produttore mi è piaciuto tutto! Il suo approccio, la sua semplicità, la sua gentilezza, la sua sala degustazione – che il padre usava per meditare fumando un sigaro – ma soprattutto i sui vini! Dallo Châteauneuf-du-pape AOC fino al Côtes du Rhône, che con la loro sprezzante croccantezza, e l’eleganza della liquirizia – dello Châteauneuf – mi hanno fatto emozionare come probabilmente – anzi quasi sicuramente – nessun vino abbia mai fatto!

Châteauneuf-du-pape e quindi…

Quindi, come dicevo all’inizio di queste poche righe, potete credermi o meno, potete, o meno, essere d’accordo su alcune delle cose che ho scritto, potete obiettare dicendo che nulla ho scritto e raccontato della morfologia del territorio o ancora di come vengono allevate le varietà a Châteauneuf

Sì, potreste.

Ma rimane un fatto, anzi due…

Che per comprendere a pieno la grandezza di Châteauneuf e dei vini di Châteauneuf, bisogna andarci! Una volta, almeno una.

E che Châteauneuf è uno di quei luoghi che dovrebbe essere segretamente custodito.

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