Pasquale di Fosso degli Angeli si definisce un “pischello”, ma sul mondo del vino ha le idee molto chiare: fare il contadino è il mestiere più bello del mondo.
Ci racconta, in breve, la storia di Fosso degli Angeli?
Siamo vignaioli da oltre tre generazioni. La vinificazione ha inizio nel 2009, anno in cui fondiamo l’azienda Fosso degli Angeli. In azienda siamo io Pasquale, mia moglie Dina e mia cognata Marenza, abbiamo circa 7 ettari di vigneto e 10 di oliveti situati nella zona nord-orientale della Campania, nel cuore del Sannio. Produciamo nel rispetto della natura e della tradizione.
Il significato del vostro logo aziendale?
Prendiamo il nome da un antico oliveto secolare chiamato “Fuoss D’angjel”. Nel logo sono fusi insieme il nome e le due colture principali coltivate in azienda, l’olivo e la vite, che formano un unico albero.
Quali sono i vini che rappresentano meglio la vostra azienda? A quanto ammonta la produzione annua?
Non c’è un vino in particolare, ognuno ha caratteristiche diverse, ma come le dita, appartengono ad una sola mano. Se proprio dovessi scegliere, direi CESE Falanghina.
Anche se siamo all’undicesimo anno di attività, siamo ancora dei “pischelli”. Ancora non trasformiamo tutta l’uva prodotta e attualmente imbottigliamo circa 15.000 bottiglie l’anno.
“L’abito non fa il monaco, ma…” crede che la veste con cui presenta i suoi prodotti giochi un ruolo fondamentale?
A dire la verità , continuando ad utilizzare la metafora dei vestiti, i nostri prodotti, l’azienda e noi che ci lavoriamo non indossiamo abiti, cerchiamo semplicemente di essere noi stessi. Siamo dei contadini che lavorano la terra, fanno il vino e cercano di venderlo. Credo sia fondamentale essere semplici.
Qual é stata l’annata migliore per i vostri vini?
La 2011 è da incorniciare, successivamente la 2015, ma la prima non si scorda mai.
Cosa direbbe ai giovani per avvicinarli al mondo della vitivinicoltura? Crede che il mondo del vino debba “svecchiarsi”?
È il lavoro più bello del mondo, ma deve piacerti, il consiglio che posso dare è quello di provare. Il vino si fa da sempre, c’è storia e tradizione legato ad esso, non credo quindi che il termine “svecchiare” sia adatto: il vino vecchio, fatto bene, è più ricco di sapori ed evoca maggiori sensazioni.
In che percentuali lavorate sul mercato italiano ed estero?
80% Italia – 20% estero.
Cosa pensa dei critici e dei giudizi delle guide?
Ci sono Critici e critici. Oggi, anche grazie ai social, ci sentiamo tutti autorizzati a commentare. L’importante è rispettare il lavoro degli altri, e soprattutto bisognerebbe provare e farsi una propria opinione prima di parlare.
La critica gastronomica e il mondo delle guide in generale sono una professione. Alcuni lo fanno con passione e dedizione, sempre alla ricerca di nuove proposte e piccole realtà, mettendo in gioco la propria reputazione e magari andando contro corrente. Altri invece giocano facile, recensiscono con ottimi voti cose che non si possono nemmeno assaggiare solo perché, magari, si tratta di un brand famoso o dietro lauti compensi.
Cosa pensa del biologico e biodinamico?
Siamo certificati Bio da diverso tempo e in parte siamo anche biodinamici, anche se non certificati. Penso sia l’unica strada percorribile per il futuro dell’agricoltura. Dobbiamo cercare di ridurre il nostro impatto sul pianeta altrimenti ne resterà ben poco.
Questo stile di fare agricoltura cerca semplicemente di creare una coesione pacifica con il resto degli esseri viventi, evitando lo sfruttamento intensivo dei terreni. Di conseguenza otteniamo una produzione ridotta e di qualità maggiore, priva di residui chimici come diserbanti e insetticidi.
Il tappo: la scelta del sughero è fondamentale per il mantenimento del vino. Voi che tappi usate?
Negli anni abbiamo sperimentato sia il tappo tecnico bio della Nomacorc derivato dalla canna da zucchero, sia il sughero monopezzo. Due ottime alternative: il primo elimina completamente il rischio che si sviluppi il classico difetto di tappo ma non è bello da vedere; il secondo è bello da vedere, ma può capitare qualche bottiglia che sa di tappo.
Per quanto riguarda l’affinamento posso affermare che ci siamo trovati bene con tutte e due le soluzioni, attualmente utilizziamo solo ed esclusivamente il tappo in sughero su tutta la linea di produzione.
Lascia un commento